La storia
Collocato in prossimità del centro storico sulla collina di Monte Cucco, è stato realizzato in bronzo fuso a cera persa per commemorare il cinquantenario della battaglia di Castelfidardo del 18 settembre 1860.
È, nel suo genere, il monumento più imponente tra quelli del territorio italiano.
L’idea di erigere il monumento fu lanciata nel 1902 ed ebbe un forte sostegno da parte dell’allora sindaco di Castelfidardo Paolo Soprani.
Fu costituito un comitato (presidente il conte Ernesto Garulli) e fu promossa una sottoscrizione, durata dodici anni, alla quale partecipò anche lo Stato. Nel 1910, sotto il regno di Vittorio Emanuele III, il monumento fu dichiarato di alta riconoscenza nazionale ed inaugurato in forma solenne il 18 settembre 1912.
La gara per la sua realizzazione era stata vinta dallo scultore veneziano Vito Pardo che propose una forma innovativa di scultura, un modo di concepire lo spazio che definiremmo cinematografico per la scelta di porre il condottiero a cavallo sullo stesso piano dei soldati.
l monumento, alto circa 6 metri e lungo 12, poggia su una montagna di 160 mq in massi di travertino bianco di Ascoli che cela, nella parte posteriore, una cripta di stile assiro. Le decorazioni interne sono dei professori Giustini e Sollazzini di Firenze. L’opera muraria, nella quale è incastonata parte del monumento, è del maestro Giordani di Castelfidardo.
Le figure dei soldati, massa informe appena abbozzata, diventano sempre più reali e più grandi fino a comporre il soggetto più definito: il generale Cialdini che, a cavallo del suo destriero, indica il nemico incitando i suoi alla carica. Colte nel momento di massimo pathos dell’attacco, le figure dei soldati sono un campionario delle espressioni di dolore, foga e disperazione, caratteristiche di uomini in guerra.
L’imponente gruppo bronzeo è circondato da un grande e rigoglioso parco con tanti e suggestivi angoli di natura (all’epoca della realizzazione, il Ministero dell’Agricoltura fece piantumare la collina con 20000 pini ed abeti).
Vito Pardo ha fatto della sua opera un’allegoria del percorso sofferto dell’Unità d’Italia: da massa informe e divisa, attraverso la sofferenza della guerra, nascono una sola nazione ed un solo popolo.
La battaglia di Castelfidardo, del resto, ben si prestava all’allegoria. Dal punto di vista militare fu di modesta portata, ma, sotto il profilo politico, segnò una pagina gloriosa delle guerre per l’Unità d’Italia. Lo Stato Pontificio, dopo aver perso le Romagne nel 1859, si era ridotto alle Marche, all’Umbria ed al cosiddetto Patrimonio di San Pietro, l’odierno Lazio.
Garibaldi stava salendo dal sud verso nord; dopo aver conquistato la Sicilia e la Calabria, entrato a Napoli si apprestava a muovere verso Roma. La sua era un’azione davvero inopportuna per la politica estera dei Piemontesi alleati dei Francesi contro l’Austria e lo stesso Stato Pontificio.
L’occupazione dell’Umbria e delle Marche avrebbe permesso ai Piemontesi di occupare il porto di Ancona (dal quale lo Stato Pontificio poteva ricevere aiuti dall’Austria), unire i due territori a quelli conquistati da Garibaldi ed impedire a Garibaldi stesso di muovere in direzione di Roma.
Per l’esito della campagna furono determinanti le azioni preparatorie dei corpi volontari che sobillarono la popolazione contro il Papa.
I movimenti dei Pontifici, invece, furono poco incisivi anche perché dovettero frettolosamente riunire le forze mobili che erano divise tra le Marche e l’Umbria. Nonostante ciò, la mattina del 18 settembre 1860, le truppe pontificie, giunte a Loreto il giorno precedente, mossero in direzione di Ancona costeggiando il mare Adriatico. Alle dieci la brigata, agli ordini del generale De Pimodan, aveva conquistato le case coloniche denominate “ Santa casa di sotto e di sopra”. Il XXVI Battaglione Bersaglieri che il generale Cialdini, comandante dei Piemontesi, aveva posto a guardia della vallata sottostante il colle di Monte Oro Selva, dovette indietreggiare.
Durante la battaglia però, il generale De Pimodan venne ferito mortalmente e l’assenza di comando favorì lo sbando delle sue truppe. Il generale De La Moricière, comandante in capo dei Pontifici, stava dirigendo le truppe su Ancona, ma fu costretto a fermarsi per dar man forte ai suoi. I Piemontesi poterono così accerchiare il nemico e cannoneggiare la vallata dalla collina di Monte San Pellegrino.
Alle dodici la battaglia era conclusa, ma solo più tardi i Piemontesi ebbero la certezza di aver vinto. Il generale De La Moricière scappò verso Ancona, città che, nei giorni seguenti, venne cannoneggiata da terra e da mare fino a capitolare il 29 di settembre. Le Marche divennero parte del regno piemontese.
Oggi le vie di accesso al monumento sono ornate da maestose cancellate in ferro battuto, le Cancellate degli allori, realizzate nel 1925 su progetto dello stesso Vito Pardo. La collina, piantumata con 22000 conifere e flora mediterranea, riserva a quanti visitano questo raro esempio di monumento risorgimentale, vialetti, fontane, scalinate ed un piccolo parco giochi.
La “crociata”
Il 16 settembre, in attesa del suo aiutante De Pimodan, il comandante dei pontifici, De La Moricière, imbarcò sul San Paolo diretto ad Ancona, il tesoro di guerra e la bandiera di Lepanto chiesta al Santuario di Loreto per suscitare nei suoi soldati l’ardore dei vecchi crociati.
Cortesia piemontese
Il generale De Pimodan si batté da eroe incoraggiando i pontifici alla resistenza ma, ferito da tre colpi di moschetto, cadde da cavallo e fu fatto prigioniero. Riferisce il cronista che “Cialdini, informato della cosa, mandò subito due medici militari ed il suo aiutante Borromeo con l’incarico di apprestare tutte le cure al ferito e di fargli coraggio”.
De Pimodan morì dopo la mezzanotte in una camera della villa sul colle Monte Oro di proprietà degli Sciava di Castelfidardo. La sua salma fu provvisoriamente tumulata nell’orto attiguo alla chiesetta dell’Annunziata delle Crocette insieme a quelle di altri sei ufficiali caduti in battaglia.
I numeri della battaglia
Caddero 88 volontari pontifici e 63 militari piemontesi. Un numero esiguo di vittime per una battaglia che, sotto l’aspetto storico e civile, fu decisiva in quanto congiunse Marche ed Umbria al Regno d’Italia.
I numeri del monumento
Circa 150 i quintali di bronzo e quasi 6000 i quintali di travertino d’Ascoli. Occorsero quasi due anni per fusione, trasporto e messa in opera dei vari pezzi che compongono il monumento. Vito Pardo vi lavorò per quasi dieci anni, spesso ospite di Paolo Soprani, allora sindaco.
Il Sacrario
L’anno successivo alla battaglia di Castelfidardo, la pietà ed il patriottismo delle popolazioni locali stimolarono una raccolta di fondi per la realizzazione (sulla collina di Monte Oro) di un sacrario per i valorosi che, in opposti schieramenti, avevano dato la vita per un ideale ed erano stati seppelliti nello stesso terreno di battaglia.
Spazio quadrato sormontato da dodici piramidi quadrangolari tronche sulle quali sono scolpiti i nomi dei soldati piemontesi, il sacrario mostra al centro una stele più alta.
L’opera venne completata nel 1870 anno in cui le spoglie dei soldati piemontesi e quelle dei soldati pontifici provenienti da tutta Europa vennero tumulate in avelli separati.
Orari di apertura
Il monumento è aperto dal lunedì alla domenica:
- in orario invernale dalle ore 7 alle ore 17
- in orario estivo dalle ore 6 alle ore 19
Galleria Fotografica
Comune di Castelfidardo